Nina The Black Mill al Daigonla Loft Club di Forlì
il 21 gennaio 2009
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L'album omonimo è uscito la scorsa primavera e si regge su ritmiche fumose e fumate che strizzano l'occhio ai Massive Attack, su basse frequenze dondolanti, su raffinatezze melodiche tanto minime quanto indispensabili e sugli intelligenti lavori di tessitura delle chitarre e delle tastiere. Sopra a tutto questo scivola il cantato inglese di Nina, che sa nascondere una perizia tecnica invidiabile e certificata dietro ad un'espressività da pelle d'oca.
Di Michele Monina
Sono passati quasi trent'anni da quando un illuminato Freak
Antoni dichiarava "Non c'é gusto in Italia ad essere intelligenti".
Ascoltando le dieci tracce di Nina, e pensando a come,
con ogni probabilità, questo progetto sarà destinato ad abbattere
diffidenze e snoberie tipiche della discografia autoctona,
vien voglia di dire: "Avevano ragione gli Skiantos, nulla é cambiato".
Perché una cosa balza subito agli occhi, un progetto tanto personale
e carico emotivamente difficilmente sarebbe venuto alla luce
se non lo avessero fortissimamente voluto le due persone
che di The Blackmill sono artefici assoluti. Nina Ricci,
che del progetto é titolare e produttrice esecutiva, e Max Zanotti,
leader dei Deasonika, qui in veste di produttore artistico,
co-autore di tutti i brani ad eccezione della cover "Sign o’ the times",
e saltuario vocalist, come nel caso di "Damn U".
Nina é una vocalist tra le più dotate in circolazione in Italia e in Europa,
con un curriculum di tutto rispetto che l'ha vista, e la vede tutt'ora,
esibirsi a fianco di nomi di culto, con un repertorio che varia dal jazz
al dark-rock, passando, tappa per lei fondamentale, per il trip-hop
di bristoliana matrice. Dopo anni di carriera al servizio di altri artisti
e repertori, l'incontro con Max spinge Nina verso una propria
dimensione personale, e le dieci tracce qui presenti dimostrano
che a volte é necessario un semplice incrociarsi di vite per tirare fuori
da chissà quale anfratto brani che aspettavano solo di essere scritti.
Le canzoni di questo album hanno i tratti marcati di una donna che,
nel bene o nel male, non passa inosservata.
In bilico tra canzone d'autore, con evidenti influenze dark alla Tricky,
e uno spiccato senso teatrale, Nina affronta nei suoi testi tematiche
impegnate e impegnative, evidenziando una cultura vicina
al femminismo e una visione del mondo che non fatico
a definire "oscura", trafitta da occhi di luce.
Non é infatti un caso che l'unico brano non composto
dall'inedito duo é la cover della princiana "Sign o' the times",
risalente ormai a 20 anni fa, nella quale si affrontano temi apocalittici
con la lievità sensuale del genio di Minneapolis.
Senza voler svelare troppo l’incanto di questo album, cantato in inglese
per coerenza verso le influenze formative di Nina, e anche per questo dotato
di ottime chance oltreconfine, posso dire che l'incontro con la voce
e la penna di Nina Ricci é di quelli che difficilmente lasciano indifferenti.
Di più, é di quelli che lasciano segni profondi, ferite che una volta
guarite si trasformeranno in cicatrici, memorie di un ascolto importante,
maturo, unico.
Ascoltare The Blackmill é un pò come trovarsi dentro
un sogno delirante, nel locale del Velluto Blu di David Linch,
in cui si esibiva una lasciva Isabella Rossellini al cospetto
del Dennis Hopper più malato,in compagnia del nano di Twin Peaks
che, nascosto dietro un drappo di velluto rosso, ci parla in una lingua
antica e sconosciuta. Conturbante.