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Mostra Archeologica Vetus Litus Archeologia Della Foce

dal 21 dicembre 2008 al 21 giugno 2009

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Cattolica Rimini Altro

Descrizione dell'Evento

Centinaia di anfore vinarie di tipo greco-italico, contenitori (dolia) per derrate alimentari, vasi da mensa e da cucina, materiale per edifici votivi, frammenti di statua, oggetti per decorare edifici e giardini, scarti di fornace e una tale mole di frammenti ceramici da riempire più di 700 casse.

Periodo di svolgimento:
dal 21 Dicembre 2008 al 21 Giugno 2009
orario: martedì-giovedì dalle 9 alle 13
orario feriale: venerdì-domenica dalle 9 alle 13 e dalle 16,30 alle 19
Cattolica
Museo della Regina, Galleria Comunale Santa Croce, Sala Lavatoio
Via Pascoli nn. 21-23

E’ questo l’eccezionale ritrovamento archeologico avvenuto nel 2004 a Cattolica durante i lavori per la costruzione della Nuova Darsena.
Ingresso gratuito
Informazioni: T. 0541 966577 - 0541 966603

Negli ultimi anni Cattolica ha riservato molte sorprese in campo archeologico. Il rinvenimento che presentiamo con la mostra "Vetus litus. Archeologia della foce" ha però un’importanza particolare perché rappresenta il contesto di riferimento della nascita di quell'insediamento romano di cui non conosciamo il nome ma dal quale nascerà l’attuale cittadina di Cattolica.
La possibilità di datare con certezza al pieno III secolo a.C. questo importante scarico di reperti ceramici -trovato all’interno di un vascone collegato con un antico impianto artigianale- apre uno squarcio, ancora parziale ma sufficientemente preciso, sulla vita di un piccolo insediamento di immigrati romani (in termine tecnico conciliabulum) lungo l'itinerario marittimo che collegava Sena Gallica (Senigallia) ad Ariminum (Rimini), prima della costruzione della Flaminia.
La discarica di ceramiche comuni e da cucina, anfore, doli e laterizi che costituisce l’oggetto di questa mostra è venuta alla luce nel giugno 2004, durante i lavori per la realizzazione di una piccola darsena interna per imbarcazioni da diporto, a ridosso del porto-canale che funge da confine tra Cattolica e Gabicce.
Ci troviamo alla foce del fiume Tavollo, un corso d’acqua che rappresenta un confine naturale tra Romagna e Marche e che in antico coincideva probabilmente con il limite dell’augustea Regio Octava Aemilia. Questo tratto di costa, oggi piatto e lineare, era in età romana assai più mosso e dunque più adatto ad offrire ricovero ai naviganti. Le valli che collegavano naturalmente costa ed entroterra sboccavano in corrispondenza delle foci dei fiumi e ciò favoriva lo sviluppo di numerosi insediamenti litoranei, tanto più essenziali considerata anche la navigazione di cabotaggio.
Ad accrescere la qualità di questi scali naturali furono quegli itinerari paracostieri che più tardi, nel tratto tra Fano e Rimini, al momento della costruzione della via Flaminia, diventeranno strada di grande collegamento e transito.
Ecco spiegato il titolo della mostra "Vetus Litus", il litorale antico, con la sua costellazione di insediamenti, più o meno grandi, in corrispondenza delle foci dei fiumi.
Lo scalo alla foce del Tavollo era non solo naturalmente idoneo alla sosta e al rifornimento delle imbarcazioni, ma favoriva gli scambi commerciali con il retrostante territorio agricolo. Come rivela lo scavo della Nuova Darsena, questa insenatura doveva essere l'ideale luogo di scambio e carico per le rotte di corto e medio raggio, principalmente dirette a Rimini.

L'inattesa scoperta di uno scalo a Cattolica fa pensare che, in età preromana o agli inizi della romanizzazione, questo territorio vantasse due approdi molto attivi: quello cattolichino, al servizio dei porti più settentrionali a cominciare da Rimini, e quello di Santa Marina di Focara, più connesso alla costa marchigiana e ai suoi porti. Con la costruzione della Flaminia, nel 220 a.C., lo scalo di Cattolica decade, come sembra indicare il silenzio delle fonti e la mancanza di ritrovamenti archeologici successivi. Resta il messaggio contenuto nello scavo della Nuova Darsena. Le ceramiche rinvenute nella fossa sono prevalentemente legate alle caratteristiche prodiere del sito, a partire dalle anfore (oltre l'80% del materiale recuperato), vale a dire contenitori per il trasporto e soprattutto marittimo.
La vicinanza a una costa riparata fu certamente decisiva per l'impianto di un'attività di lavorazione dell'argilla che serviva sia al territorio agricolo e alle sue produzioni, che ai mercati in cui spedire le eccedenze alimentari. "Quasi certamente -scrive Maria Luisa Stoppioni, curatrice della mostra- nelle vicinanze di questa fossa si fabbricavano i grandi contenitori da trasporto, le anfore, che con ogni probabilità in questo stesso luogo venivano riempite con il vino giunto forse in botti di legno o otri e da qui imbarcate per raggiungere i mercati di destinazione.
La prevalente produzione di anfore e doli dovette pertanto costituire l'elemento centrale per la scelta del sito in cui far sorgere la fornace. Senza la necessità di imbarco e trasporto marittimo, la fornace avrebbe anche potuto sorgere altrove, fatte salve le condizioni di base rappresentate dalla vicinanza di acqua dolce, legname e argilla".
Elemento decisivo fu certo il fiume, che forniva acqua dolce argilla. D'altronde l'ubicazione delle fornaci in aree vicine sia alla costa che allo sbocco in mare di fiumi o canali, è una costante nelle fasi antiche, proprio per le ragioni valide nella nostra ipotesi: disponibilità di acqua dolce e banchi di argilla affioranti dal fiume, vie d'acqua per il trasporto e il rapido trasferimento dei carichi, rete di collegamento con le strade intervallive e di contatto con il retroterra agricolo.
Tra i reperti più significativi vanno senz'altro segnalati alcuni frammenti che si ipotizzano pertinenti ad una statua fittile di grandi dimensioni, forse da realizzarsi con elementi da sovrapporre su un supporto interno di legno. Si tratta di una parte del fianco destro di una figura maschile nuda, un dito, un ricciolo e un frammento cilindrico inizialmente identificato come parte di un braccio ma rivelatosi, ad un più attento esame, un fallo in erezione, privo di scroto e prepuzio, analogo ad altri esemplari in pietra o terracotta rinvenuti a Pompei e databili al II-I sec. a.C., e a esemplari in terracotta da Roma e da stipi e depositi votivi, databili al III sec. a.C. Se l'ipotesi della statua è esatta, si tratterebbe di un'opera di dimensioni più che doppie rispetto al naturale e certamente destinata ad un'area sacrale.
Notevole è anche una matrice in argilla rossastra, raffigurante la maschera di un volto quasi certamente maschile, caratterizzato dalla bocca spalancata con un piccolo foro al centro. La maschera -assunta a simbolo della nostra mostra- sembra essere identificabile con Dioniso-Bacco e doveva servire quale boccaglio di fontana o, più probabilmente, da gocciolatoio o gronda da tetto. Collegando tra loro i vari elementi e la pertinenza ad una zona di culto, possiamo ipotizzare che la maschera dionisiaca potesse essere sia elemento decorativo da tetto che oggetto da ex voto mentre il simbolo fallico può essere considerato un potente amuleto contro il male, secondo l'uso diffuso in epoca romano repubblicana quando era comunissimo vederlo nelle abitazioni come apotropaion.

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