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Un Amico romantico. Fantasia e sentimento del 'girovago Maestro' del '500

dal 27 settembre 2008 al 26 gennaio 2009

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Bologna Altro

Descrizione dell'Evento

GIOVA riprendere le parole della ben nota prolusione di Roberto Longhi ai suoi esordi all'Ateneo di Bologna, anno accademico 1934-35, a proposito di Amico Aspertini cui ora la città  felsinea dedica una mostra bellissima (aperta fino all'11 gennaio) curata da Andrea Emiliani e Daniela Scaglietti Kelescian.

Pinacoteca Nazionale di Bologna: "Amico Aspertini 1474-1552, artista bizzarro nell'età di Durer e Raffaello" Mostra

Sul «girovago Maestro» diceva che l'«interpretazione burlesca, quasi sacchettiana» che ne aveva dato il Vasari alimentando il pregiudizio che si trattasse di un artista bizzarro, «senza portata effettiva», non era che la lettura faziosa di un manierista toscano che si credeva erede di «un certo classicismo, almeno tecnico, nei riguardi di un manierista sommamente romantico come l'Aspertini e, per di più appartenente al barbaro e dissestato settentrione».

Un artista, il bolognese, di una decina d'anni maggiore di Raffaello, ma quanto più lontano dalla sua classica armonia, dalla sua ineffabile misura, e agli antipodi dunque anche del concittadino Francesco Francia, dominante in Bologna coi suoi modelli toscaneggianti, già quando l'Aspertini, nato nel 1474, si formò verosimilmente nella bottega paterna.

Era poi passato in Toscana e quindi a Roma, dove gli affreschi anticlassici appena eseguiti da Filippino Lippi nella Cappella Carafa in Santa Maria sopra Minerva, e le stanze di papa Borgia dipinte dal Pinturicchio, gli fornirono gli stimoli maggiori. Così come l'incontro con l'antico, visto non come un mondo da riattualizzare, e piuttosto, sono parole di Francesco Arcangeli, «sentito anzi, immaginosamente e polemicamente, come rovina».

Al ritorno a Bologna, nei primi del '500, lo si vede impegnato in committenze importanti, come la decorazione nell'Oratorio di Santa Cecilia per conto dei Bentivoglio, a confrontarsi proprio col Francia e col ferrarese Costa.

Ma é naturale che un temperamento come quello di Aspertini, così portato a calarsi nella quotidianità della vita piuttosto che idealizzarla, e ad esprimersi in una parlata popolare, più che in un linguaggio aulico, avvertisse la suggestione della pittura e delle stampe nordiche. Schongauer e Durer su tutti.

Che puntualmente si ritrovano nella mostra bolognese nella sezione dedicata ai disegni, alle incisioni, a pezzi archeologici come il sarcofago con il mito di Meleagro, accanto alla ricca ed eloquente produzione grafica dell'Aspertini - disegnatore ambidestro abilissimo - con preziosi codici miniati del Perugino, del Maestro delle Ore Barbazza e dello stesso Aspertini. Che si ritrova assieme al Francia, al Costa e Matteo da Milano nell'incantevole 'Libro d'ore' di Bonaparte Ghisileri, della londinese British Library.

IN FATTO di confronti e di rapporti con la pittura coeva, la mostra allestita negli spazi della Pinacoteca, che presenta quasi al completo le opere mobili dell'artista - una cinquantina - annovera dipinti esemplari dei citati Pinturicchio, Francia, Filippino Lippi, Costa, in una multiforme area di riferimenti con artisti come Perugino, Zaganelli, Fra' Bartolomeo, Pietro di Cosimo, Dosso Dossi, Garofalo, Lotto, Boltraffio, Romanino, Parmigianino, oltre ai tedeschi Ruprecht e Durer.

Non poteva mancare Raffaello, la cui bolognese 'Estasi di santa Cecilia' resta un paradigma perfetto di una visione neoplatonica, con contenuti anche etico sociali, che certamente Aspertini ha guardato da una prospettiva affatto diversa.

Ancora Arcangeli scriveva del pittore, e scultore, bolognese che «la sua gente abnorme eppur quotidiana non ha nulla a che spartire col sogno di un'aurea temperie umana che sognava il Castiglione amico di Raffaello; anzi anticipa, se mai, quella picara e miseramente avventurosa, di soldatacci sbandati, di villici sventurati o astuti, che popola le scene del Ruzzante o i versi di Folengo. E non certo dissimile, in sostanza, da quello del Folengo, é l'abuso che l'Aspertini pratica della parlata classica».

Artista mutevole, eccentrico, se si vuole 'saturnino', con asprezze da nordico, narratore in una parlata coltamente dialettale dell'esistenza e delle sue inquietudini, più che interprete di alti modelli culturali, é ben comprensibile che Arcangeli l'abbia assunto come una delle pietre miliari di quel suo percorso plurisecolare che andava da Wiligelmo a Morandi. Parlava di 'corpo, azione, sentimento, fantasia'; di ˜naturalismo ed espressioni(fonte il "Giorno" del 28/09/08 di CLAUDIO SPADONI)

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