Madama Butterfly On The Beach Igea Marina
il 15 luglio 2009
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Madame Butterfly, l'opera lirica, ha un padre naturale, Giacomo Puccini, e dobbiamo l'odierna conoscenza dell'opera a due librettisti Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. La storia è basata su una novella di Pierre Loti del 1887dal titolo "Madame Chrysanthème" Pierre Loti fu tenente di vascello della marina francese proprio a Nagasaki, arrivando a prendere per moglie una "geisha" per qualche mese. John Luther Long conobbe il Giappone attraverso la testimonianza diretta della sorella che pare ebbe modo di osservare con i propri occhi una storia simile a quella di Madame Butterfly. Puccini invece, come detto, non solo non visitò il Giappone, ma anche quando gli capitò di assistere a New York, nel marzo del 1900, al dramma Madame Butterfly messo in scena da Belasco, fu colpito dalla vicenda intima dei protagonisti, dalla carica emotiva, dall'ambientazione esotica, pur non comprendendo una parola della recitazione, perché digiuno di lingua inglese.
Ecco perché Madame Butterfly non necessita di spiegazioni della trama, di analisi, di congetture su simbolismi e profondità che, se ci sono, traspaiono senza filtri, giungono allo spettatore con immediatezza disarmante. Amare Cio-cio-san (Madame Butterfly), la fida Suzuki, il buon Console Sharpless, persino il timido Principe Yamadori è cosa naturale. Odiare Pinkerton e quasi tutti gli altri lo è anch'essa. Infine provare angoscia irrefrenabile per il piccolo "Dolore", così Cio-cio-san chiama il figlioletto frutto della relazione fra lei e Pinkerton, è qualcosa che si riesce ad evitare solo con cure omeopatiche, basate sulla assiduità con l'opera e sullo studio tecnico: è così che i direttori riescono a governare una musica che piange sotto la bacchetta. Chi si recasse a teatro per la prima volta ad assistere ad una rappresentazione di Madame Butterfly può andarci come se andasse al cinema: capirà tutto, non gli sfuggirà una parola, un sospiro. Vivrà la goffaggine iniziale di Pinkerton, Tenente della marina Usa, che sceglie casa e prende accordi con il Console; assisterà ad una cerimonia di nozze lieve ma ambigua, dove la tenerezza di Cio-cio-san si confronta con la presunzione "macha" di Pinkerton. Udrà i tuoni dello zio Bonzo, che vede lontano. E poi sarà coinvolto in una delle scene d'amore più profonde che mai siano state concepite. Amore sensuale, erotico ma sublime.
Poi sprofonderà nel dramma totale della piccola Cio-cio-san, tenace nella speranza che l'incubo della solitudine, causata dalla partenza di Pinkerton, e della indigenza per se stessa e per il piccolo figlioletto nato dopo la partenza del marinaio, possano volgere in gioia nel momento in cui un pennacchio, un fil di fumo, dividano in due l'orizzonte del mare di Nagasaki. Il resto è la storia, il dramma, la dignità e il pentimento, ma sta tutto lì, nell'opera, ed è impossibile non cogliere tutto fino in fondo, fino al "magone".
L'effetto curioso di quest'opera italo-giapponese è che i giapponesi l'hanno ritenuta da subito propria, quasi fosse simbolica, soprattutto dopo le bombe atomiche della seconda guerra mondiale, del modo presuntuoso con il quale l'occidente avrebbe fatto man bassa dell'oriente. Verità di parte, si sa', perché la storia è molto varia e altalenante, ed i giapponesi hanno fatto la loro parte, bella e brutta. Giacomo Puccini cercò di reperire le informazioni più particolareggiate sul Giappone, i suoi costumi e persino le sue musiche. Attraverso la moglie dell'ambasciatore giapponese trascrisse alcune melodie di canzoni native, ascoltò dischi giapponesi e si fece correggere i nomi dei personaggi per renderli più realistici.
Voleva scrivere un opera giapponese, e ci riuscì standosene prevalentemente in Toscana, fra crisi matrimoniali, incidenti automobilistici e drammi amorosi.