Personale di Luigi Poiaghi Rimini
dal 10 al 30 aprile 2010
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Testo : Testo critico in catalogo di M. Virginia Cardi
L’amicizia di tanti anni, ormai, con Luigi Poiaghi apre al mio sguardo, di nuovo, il racconto della sua opera.
Solitario e in ascolto, come oggi è necessario essere, se si creda di poter testimoniare, ancora, da artisti questi nostri tempi, Poiaghi non rinuncia alla propria contemporaneità. Eppure mi pare venga da lontano a questo incontro, come da un lungo viaggio.
(...) Gli ultimi lavori, immacolati e soffici, trapunti di scrittura, richiedono una giusta messa a fuoco, un’acutezza della vista, poiché il bianco, questa particolare scelta emotiva, crea una subitanea distanza.
(...) Il candore, oggi soprattutto, desta imbarazzo, disorienta. Anche perché non è un colore, è un luogo che appartiene all’interiorità, alla mente. Dimensioni ormai desuete al comportamento di questa società in vetrina.
(...) il bianco è verginale, nuziale, nuovo, evoca la tela bianca e l’abito da sposa, entrambi accomunati dal sogno di pienezza, come dalla ineludibile certezza di un ferimento. Sobrietà e rigore sono la cifra di questo artista e sono centrali nel suo lavoro. Tant’è che la sapiente scrittura attraverso l’arte del cucito, con la quale il maestro interviene sul piano, ne è una sottolineatura ulteriore. Cucire è legare, tenere legate insieme le cose.
(...) Qui, in questo caso, si ricamano parole, la linea del filo diventa calligrafia.
Già da tempo Poiaghi sperimentava l’estro e la libertà della linea. Maestosa, strutturata, poi, nervosa, ondulata, oggi diventa linguaggio, quasi a ripercorrere dall’inizio la lunga storia dell’immagine nel suo intreccio con il segno.
In questo caso la parola poetica nell’incresparsi del cotone, al susseguirsi dei punti veloci descrive trasalimenti, crea spostamenti, mette in gioco l’autore stesso, che appare sdoppiarsi; attraverso la parola, talvolta il calembour e la libera associazione aprono abissi, contraddizioni. La superficie così suadente e invitante si frantuma in una messa a morte del senso comune.
L’opera è davvero infinito intrattenimento, scompiglia la sovranità di un solo punto di vista; offre la possibilità di essere guardati.
Come quando con leggerezza e malinconica ironia, Poiaghi appunta la seguente epigrafe: osservo un ragno sul soffitto e lui mi guarda pendere dal pavimento