Le Cinque Rose di Jennifer di Annibale Ruccello
il 14 febbraio 2009
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La protagonista alterna eccessiva allegria e orgogliosa aggressività alla malinconia e alla disperazione: mima spensierata Patty Pravo ma grida dal dolore quando, ormai, fattosi buio, capisce che anche quel giorno l'amato Franco, un uomo del Nord, conosciuto una sera e che lei da molto tempo pervicacemente attende ed immagina, non verrà a trovarla.
L'atteggiamento scanzonato e "leggero" devia a tratti in umori scuri e gesti di violenza trattenuta: sono attimi, che tuttavia macchiano l'andamento quasi cabarettistico della pièce e ne fanno sospettare un sostrato da tragedia contemporanea. Sensazione acuita dopo l'ingresso in scena di un altro travestito, la vicina Anna, ambigua ed esaltata.
Le due si dilungano nei tipici discorsi "da donne", ma la tensione percorre tutto il loro dialogo, salvo esplodere quando Anna ritornerà una seconda volta nell'appartamento di Jennifer e, indirettamente, aprirà la strada al finale tragico.
“Leggo Le cinque rose di Jennifer – scrive il regista in una nota - come una metafora della nostra esistenza, o, per usare il linguaggio di uno degli altri personaggi che abitano la stanza in cui avviene la vicenda, come una specie di simbolo di questa mia atroce solitudine. Di tutti i testi che Ruccello ha scritto credo che questo sia quello dove maggiormente egli si sia rappresentato, attraverso un altro da sé, certamente è il testo più legato ad una sua personale interpretazione come attore”.
Si mette in scena un pensiero, un pensiero ossessivo e maniacale, quello di Jennifer, travestito napoletano. Un pensiero che porta al suicidio e se questo avvenga o meno non ha nessuna importanza. Una solitudine di periferia e le sue proiezioni. Un attore che si traveste, una attrice che si traveste. Mestruazioni finte, seni piatti, parti mai avvenuti. Tutto nella mente di un ragazzo di una città di provincia.