Lello Arena in Lascio alle mie Donne
il 12 dicembre 2009
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All’epoca (era il 1969) il testo fu presentato come seguito di Il seduttore e rappresenta una delle tre commedie sull’amore realizzate dall’autore assieme “Non è per scherzo che ti ho amato" e "Area fabbricabile". Amore in senso lato: qui infatti non c’è la storia di una passione, di corteggiamenti e titubanze, quanto la presa di coscienza che l’amore può essere un sentimento così grande da non avere al suo interno il concetto di escludibilità.
E’ questa la ragione che il defunto si propone di avere con la succitata frase iniziale, quello di non dovere essere gelosi, ma capire quanto si possa amare comunque e senza limiti. Un modo di porsi che conquista non solo le sue ormai ex-donne, ma anche il suo amico notaio che scoprirà un coinvolgente mondo di affetto e fascino dal quale è difficile scappare, anche perché non ce ne sarebbe ragione.Andando a cercare tempi e toni della commedia, Fabbri fa di Lello Arena il direttore d’orchestra. E’ lui che cerca di spingere in ogni scena il pedale della comicità, lasciando invece ai vari scambi di battute fra i rappresentanti del gentil sesso il compito di scavare più a fondo. Un intento, quest’ultimo, che prende spesso il sopravvento e che cerca di porre in riflessione problemi e situazioni di un tempo (e che in parte, ma non troppo sono ancora di oggi) come la pillola anticoncezionale o il ruolo delle donne nella società. Temi che sicuramente aumentavano lo spessore di una commedia quaranta anni fa, ma che adesso sanno un po’ di déjà-vu o quanto meno da affrontare secondo un’altra ottica. E’ infatti proprio questo quasi continuo volersi prendere sul serio che rende le potenzialmente simpatiche caratterizzazioni dei personaggi (come quella del segretario Gaetano o della “collaboratrice” Sofia) e le battute di Lascio alle mie donne di difficile apprezzamento, appesantendo oltremodo i possibili siparietti riusciti o la brillantezza degli attori.Ne esce un ibrido un po’ faticoso nel suo evolversi senza una reale direzione, se non per un finale leggermente in crescendo. Non ci si diverte, né si rimane particolarmente colpiti da quanto viene detto. L’idea di base era ed è sicuramente affascinante, ma una rivisitazione in chiave moderna poteva metterne meglio in luce tutta la sua ancora presente validità in termini di conoscenza delle relazioni umane.Belle le scenografie del pittore Enrico Benaglia e Giorgio Richelli.