Opera teatrale La luna Parma
il 28 febbraio 2009
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Fellini e Leopardi sono i punti di riferimento, ma anche Loredana Bertè, in un intreccio surreale e tenero dove sogno e nostalgia, magia e affanno esistenziale, si mescolano in un gioco che strappa molti sorrisi e qualche lacrima.
Sul palcoscenico vivono la loro storia di arte e d’amore Gianfranco Schiavo e Liliana Ferrari, artisti d’avanspettacolo che non hanno più un pubblico: lei, cantante, attrice e ballerina, che una volta portava la gamba fino alla fronte, lui intrattenitore, che spezzava le catene di fronte agli increduli spettatori. La luna potrebbe essere la loro ultima messa in scena, l’ultimo capitolo della loro avventura. Stanchi e soffocati dai debiti, hanno perso la forza fisica, lo smalto e l’allegria e si trascinano scambiandosi piccole e grandi crudeltà, alla ricerca di un finale d’effetto dello spettacolo.
Carico di rimandi felliniani, La luna, trae ispirazione certamente dai personaggi di Gelsomina e Zampanò.
Atmosfere in cui si mescolano scampoli di vita e ricordi, lustrini e bollette da pagare con i due protagonisti che a tratti svolazzano sereni sul palco, a tratti si incartano nelle loro nevrosi e nella loro patologica dipendenza, che li porta a a vivere, sino alla fine, in un’altalena abitudinaria di attrazione e repulsione, durante la quale si scambiano forza e debolezza rimbalzandosi i ruoli.
Il palcoscenico è quindi il luogo della narrazione, allegorica rappresentazione della vita, simbolo allusivo e potente di un’esistenza sgangherata e irrequieta, fatta di strade impervie e polverose, come quelle dei guitti, come quelle di tutta l’umanità.
L’arte e il teatro, l’amore per il teatro assumono la funzione di struttura portante, di motore del racconto: la scena si apre con i protagonisti impegnati nelle prove dello spettacolo e si chiude quando, dopo aver catturato per un attimo il possibile finale ad effetto, i due se lo lasciano sfuggire ripiombando nella rozza, senza uscita, quotidianità.
Una storia, come quella di Fellini a cui si ispira, fatta di nulla, ma piena di risonanze universali. E la luna che fa in cielo? Sta lì insensibile a guardare la disperazione umana e l’affanno esistenziale, testimone e paradigma muto di una bellezza struggente e impossibile.