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Il Berretto a Sonagli con Flavio Bucci a Bologna

il 11 gennaio 2009

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Descrizione dell'Evento

Derivato da due novelle e scritto prima in dialetto nel 1916 per Angelo Musco, rifiutato in un primo tempo dallo stesso comico siciliano e poi messo in scena nel 1917, Il berretto a sonagli fu pubblicato in italiano da Luigi Pirandello dapprima nell’estate 1918, con ancora nella lingua echi del modello siciliano e poi ripulito nelle successive edizioni del 1920 e 1925.

Legato per molti versi, nella memoria degli spettatori e lettori, alla riduzione-interpretazione in dialetto napoletano che ne diede Eduardo a partire dal 1936, Il berretto a sonagli ha visto in scena molti fra i più affermati attori italiani, e, tra gli ultimi, Turi Ferro e Paolo Stoppa (nell’edizione diretta da Squarzina e memorabile perché il testo venne recitato nella sua integrità, al di là degli interventi operati a suo tempo da Musco).

La signora Beatrice, moglie del cavalier Fiorica, sospetta che il marito la tradisca con la giovane moglie del suo scrivano Ciampa: rosa dalla gelosia, con la riluttante complicità del delegato di polizia Spanò, ordisce una trappola per sorprendere i due in flagranza di reato, in modo da dare una lezione al marito e ricondurlo a sé, sottomesso e pentito, senza calcolare l’esito di tale progetto nei confronti di Ciampa. Lo stesso scrivano viene inviato a Palermo con una scusa risibile, onde consentire al cavaliere di recarsi indisturbato dalla sua "amante".

Ciampa, messo sull’avviso da alcune allusioni farneticanti della signora, la provoca ad un chiarimento che Beatrice non accetta. L’irruzione della polizia in casa di Ciampa, lo scandalo derivato dall’arresto della moglie Nina e del cavaliere (che ha reagito con violenza alle forze dell’ordine), pur non potendo provare affatto la consumazione dell’adulterio (il verbale redatto abilmente da Spanò non reca tracce del presunto reato), rende chiaro a tutto il paese il problema di Ciampa. Vera o falsa che sia l’accusa di adulterio, lo scrivano sa che ormai, per tutti, sarà un "cornuto", magari perfino un "cornutu accurdatu", vale a dire soddisfatto e consenziente. La reazione di Ciampa è furiosa, tutto il suo sforzo per rendersi credibile e rispettato in paese con le sue fumisterie e pose da "intellettuale" va in frantumi e Ciampa tornerà ad essere il personaggio che era, ambiguo, brutto, povero e "cornuto".

Ora non gli resta che difendere il suo "onore" con un gesto disperato ed inutile, che ripugna perfino alla sua coscienza: uccidere il cavalier Fiorica e la moglie Nina. Tuttavia, alla spasmodica ricerca di una soluzione che non gli sporchi le mani di sangue, Ciampa intuisce che tutto si può aggiustare se la signora Fiorica ammette e prova di aver agito perché resa insana dalla sua folle gelosia. I parenti la costringono ad accettare il sotterfugio ed a lasciarsi chiudere per qualche tempo in manicomio, dovendo la signora provare con certezza la sua pazzia.

Davanti alle finali rimostranze di Beatrice, Ciampa le rivela perfidamente di aver sempre saputo e voluto ignorare l’adulterio di Nina per una complicata ed un po’ sordida ragione sessuale, per un amore carnale sconfinato che lo ha portato perfino ad accettare la sottomissione gerarchica (il padrone) come condominio sessuale (la donna è di entrambi), purché la vicenda fosse ignorata da tutti e l’occhio della gente non potesse mettergli in capo le immancabili corna.

Ripulito forse troppo dalla versione eduardiana e forse anche troppo protetto e redento dal suo voler essere un virtuoso filosofo delle corna, Ciampa viene riproposto sulla scena in un testo che è anche la storia del suo stesso farsi testo complesso, fra le diverse redazioni (in dialetto ed in lingua) e le differenti interpretazioni.Un Ciampa che, nel cono d’ombra dell’acre umorismo pirandelliano, rivela insospettabili tagli obliqui e un maligno gusto della perversione e della vendetta, riuscendo perfino ad attrarre a sé l’istinto uxoricida di Beatrice, complice e vittima della medesima paranoia.

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