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Descrizione dell'Evento

L'Edipo di Sofocle, uno dei testi fondamentali di tutta la cultura occidentale, i cui significati non cessano di riverberare, con sempre nuovi echi nel nostro presente.

Un progetto scenico che - contemporaneamente - permette all’Ente di proseguire la propria ricerca nel filone dei grandi classici e di continuare l’intenso e proficuo scambio con una struttura - quella del Teatro de Gli Incamminati - e con un protagonista della levatura di Franco Branciaroli, con cui sono stati già raggiunti importanti risultati con il recente allestimento di Vita di Galileo.

«In un mondo smarrito, minaccioso, delle cui ombre sentiamo costantemente l’incombere - commenta il regista - è emblematico rielaborare il percorso, dal buio verso la chiarezza che Edipo compie nella tragedia sofoclea: un percorso nella coscienza che allo stesso tempo è individuale, di intima analisi e collettivo, di grande profondità».

Scritta probabilmente nel 430 a.C., la tragedia si incentra sul mito di Edipo. Assassino del padre, sposo della propria madre e a sua volta padre di quattro frutti di un amore incestuoso... Edipo è sopraffatto da tali terribili rivelazioni e altresì deciso a sottomettersi alla più giusta punizione. Il mito di Edipo, dopo la celebre versione sofoclea, è stato in ogni tempo oggetto di rivisitazioni, dall’età medievale, rinascimentale, moderna, suscitando un interesse che non ha conosciuto soste. Ma è la contemporaneità che - soprattutto a seguito della lettura freudiana - ha donato più di ogni altro momento storico al mito edipico una centralità assoluta, nell’ambito scientifico come in quello delle arti e in particolare della letterature, del teatro di prosa musicale.

La vicenda di Edipo è infatti diventata il simbolo del legame dell’uomo verso i propri genitori un legame che si sviluppa fra gli opposti di amore e odio. Nel Novecento, il mito edipico diviene quasi archetipo di ogni dinamica drammaturgica del passato (lo si riconosce addirittura nell’Amleto di Shakespeare) e della scrittura coeva.

Anche se Freud e la sua concezione psicoanalitica sono stati fortemente discussi, tuttavia hanno dato il La ad una serie di riflessioni in cui hanno trovato origine fondamentali momenti della storia della narrativa e del teatro europei: fra essi i lavori di von Hofmannsthal,di Cocteau di Gide e di Eliot, fino ad arrivare a Pasolini

note: Nuova produzione -

con Franco Branciaroli
regia Antonio Calenda
scene Pier Paolo Bisleri
coproduzione Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia - Teatro de Gli Incamminati.

La nascita e il destino di Edipo

Laio, marito di Giocasta e re di Tebe, era afflitto dalla mancanza di un erede. Crucciato per questa insospettabile infertilità, consultò in segreto l'oracolo di Delfi, che gli spiegò come quella apparente disgrazia fosse in realtà una benedizione degli dei, dato che il bambino destinato a nascere dalla loro unione non soltanto l'avrebbe ucciso, ma avrebbe anche sposato la madre, essendo la causa di un seguito spaventoso di disgrazie che avrebbero provocato la rovina della casa. Sperando di salvarsi, Laio ripudiò la moglie senza darle spiegazioni di sorta. Ma ubriacatolo, Giocasta riuscì a giacere con lui per una notte che si rivelò fatale.

Quando nove mesi dopo la donna partorì un bambino, Laio, per evitare il compimento dell'oracolo, lo strappò dalle braccia della nutrice e gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo "espose". Venne poi trovato da Peribea, la moglie del re di Corinto Polibo, o da un pastore che lo portò da lui. Comunque il bambino venne allevato alla corte di Polibo, credendo di essere il figlio del re di Corinto. Al bambino venne dato il nome di "Edipo", che in greco vuol dire "piede gonfio" a causa delle ferite che aveva nelle caviglie. Anni dopo un nemico di Edipo, volendolo offendere, disse ad Edipo che lui non era il figlio di Polibo, ma un trovatello. Turbato, Edipo interrogò Polibo il quale, con molte reticenze, finì col dirgli quella che non era affatto la verità. Ma Edipo, ancora incerto, stabilì di partire per interrogare l'oracolo di Delfi e sapere chi erano davvero i suoi genitori. Quando si recò presso il santuario, la Pizia, inorridita, lo cacciò dal santuario, predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Atterrito dal vaticinio, Edipo, per evitare di uccidere Polibo e di sposare Peribea, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe.

Durante il cammino verso la Focide, non lontano da Delfi, si imbatté in un cocchio guidato da Laio e diretto al santuario delfico per tentare di chiedere alla Pizia la liberazione di Tebe dalle calamità che la tormentavano.Infatti a Tebe una sfinge imponeva indovinelli a chi passava e,se l'interrogato non riusciva a rispondere, lo divorava. Vedendo il giovane sulla strada, l'araldo di Laio, Polifonte (o Polipete), ordinò a Edipo di lasciare passare il re; ma poiché quest'ultimo non si affrettava ad obbedire, infuriato, uccise uno dei suoi cavalli ed avanzò col carro, ammaccando un piede dell'eroe. Incollerito, Edipo balzò sul cocchiere, uccidendolo con la sua lancia; Laio si trovò incastrato nelle redini dei cavalli per mano di Edipo che, gettatolo a terra e frustato i cavalli, lo trascinò nella polvere fino a ucciderlo. In tal modo, la prima profezia dell'oracolo si era compiuta.

Alla notizia della morte di Laio, i tebani elessero re Creonte, fratello di Giocasta. Anche Creonte non seppe come affrontare la Sfinge e quando il mostro rapì e divorò suo figlio Emone fece annunciare che avrebbe ceduto il trono e dato in moglie Giocasta a colui che avrebbe risolto l'enigma.

L'indovinello della Sfinge

Proprio in questa occasione, Edipo giunse a Tebe dove incontrò la Sfinge. Accovacciata sul monte Ficio, presso Tebe, la creatura figlia di Tifone e di Echidna era un mostro con testa di donna, il corpo di leone, una coda di serpente e delle ali di rapace. Essa era stata inviata da Era per punire i Tebani irata contro Laio perché aveva rapito il fanciullo Crisippo di Pisa. Ad ogni passante, la creatura esponeva un enigma insegnatole dalle Muse: «Qual era l'essere che cammina ora a due gambe, ora a tre, ora a quattro e che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?». Esisteva anche un altro enigma: «Esistono due sorelle, delle quali l'una genera l'altra, e delle quali la seconda, a sua volta, è generata dalla prima?». Ma nessuno, fra i Tebani, aveva mai potuto risolvere questi enigmi, e la Sfinge li divorava uno dopo l'altro.

Una versione, forse più antica, raccontava che ogni giorno i Tebani si riunivano sulla piazza della città, per cercare di risolvere in comune l'indovinello, ma senza riuscirvi mai, Ed ogni giorno, a conclusione di quella seduta, la Sfinge divorava uno degli abitanti.

Ora Edipo, che era passato da lì, dopo aver ascoltato gli enigmi della creatura, comprese immediatamente quali erano le risposte; la risposta al primo indovinello era l'uomo, perché esso cammina durante l'infanzia, a quattro gambe, poi a due, e infine si appoggia ad un bastone nella vecchiaia; al secondo, era il Giorno e la Notte (il nome del giorno è femminile in greco; è dunque «sorella» della notte). La Sfinge, indispettita, si precipitò dall'alto della roccia sulla quale era appollaiata. Oppure, fu Edipo stesso a spingerla nell'abisso.

Creonte stesso, soddisfatto dell'impresa del giovane eroe, e soprattutto di vedere vendicata la morte di suo figlio, cedette il trono ad Edipo il quale sposò Giocasta. La profezia si era avverata fino in fondo: il figlio aveva sposato la madre. Dalla loro unione nacquero due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene.

Dopo un lungo felice periodo di regno, una peste si abbatté sulla città di Tebe, ed Edipo inviò Creonte a chiedere all'oracolo di Delfi la ragione di quel flagello. Creonte ritornò riportando la risposta della Pizia: la peste sarebbe cessata soltanto se la morte di Laio fosse stata vendicata. Edipo pronunciò allora contro l'autore di quel delitto una maledizione - condannandolo all'esilio - la quale finirà per rivolgersi contro lui stesso. Interrogò poi l'indovino Tiresia per chiedergli chi fosse il colpevole. Tiresia, il quale, attraverso le sue facoltà divinatorie, conosceva tutto il dramma, tentò di evitare la risposta, dimodoché Edipo si immaginò che Tiresia e Creonte fossero gli autori del delitto. Si accese dunque una disputa fra Edipo e Creonte. Allora Giocasta mette in discussione la chiaroveggenza di Tiresia, e a prova di questo mette la profezia che lui stesso aveva fatto sul figlio di Laio e Giocasta, credendo che non si fosse avverata. Disse che invece Laio era morto ucciso dai briganti in un croccicchio. Alla parola "croccicchio" Edipo temette di essere lui stesso l'assassino di Laio e si fece descrivere Laio e la carovana che lo portava. Ma da Corinto arrivò un araldo, che informò Edipo della morte dell'uomo che lui credeva suo padre, Polibo. Giocasta e Edipo credettero così che la profezia fosse stata scongiurata, ma l'araldo disse ad Edipo che in realtà Polibo non era suo padre. Capita la situazione, Giocasta si uccise, ed Edipo si trafisse gli occhi con la spilla della moglie-madre.

L'esilio e la fine di Edipo

Per qualche tempo, Creonte, ridiventato re, tenne nascosta la vicenda ma ben presto i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, scoperta la storia dell'incesto, chiesero al re di cacciarlo da Tebe. Disgustato dal loro comportamento, Edipo li maledisse, predicendo loro che si sarebbero divisi e sarebbero morti l'uno per mano dell'altro. Così l'eroe cieco, vittima dell'imprecazione pronunciata da lui stesso contro l'uccisore di Laio, prima di sapere chi fosse, solo e accompagnato da Antigone e Ismene, cominciò a peregrinare per il paese, chiedendo l'elemosina.

Dopo lunghi anni, Edipo vagò per la Grecia, fino a giungere in Attica; con le figlie arrivò a Colono nelle cui vicinanze si estendeva un bosco dedicato alle Erinni, (le tre terribili dee alate che punivano con il rimorso chi turbava l'ordine morale, ma che si trasformavano nelle tre benevole Eumenidi se il colpevole si pentiva, come nel caso di Edipo) nel quale si addentrò per attendere la morte.

Mentre vagava nelle vicinanze l'eroe trovò Teseo, il quale lo confortò e lo accolse ospitalmente con le due figlie nella sua reggia. Avendo un oracolo dichiarato che il paese che avrebbe accolto la tomba di Edipo sarebbe stato benedetto dagli dei, Creonte e Polinice (Eteocle era infatti morto ucciso, come aveva predetto Edipo, per mano del fratello) cercarono di convincere Edipo, morente, a tornare a Tebe. Ma Edipo, che era stato accolto ospitalmente da Teseo, si rifiutò e volle che le sue ceneri rimanessero in Attica.

Poiché aveva saputo che la fine gli sarebbe stata annunciata da tuoni e da fulmini, al primo tuono fece chiamare Teseo, che lo raggiunse nel pieno del temporale scatenato da Zeus. Sotto la pioggia, Edipo giunse nei pressi di un abisso; qui alcuni gradini di bronzo conducevano agli Inferi. Edipo si sedette, si tolse gli abiti sporchi, si fece lavare e vestire dalle figlie e con loro intonò il lamento funebre. Appena terminato il canto, si sentì la voce di un dio che chiamava Edipo. Subito dopo risuonò un altro tuono, così forte che Teseo si coprì la faccia col mantello. Quando tolse le mani, Edipo era scomparso per sempre.

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