Art Factory Night Bologna
il 03 marzo 2010
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La 33enne bolognese porta avanti una ricerca artistica nella quale le sue giovanili esperienze graffitiste e gli elementi tipici della street art incontrano un gusto classico e tipicamente retrò, pervaso da atmosfere dark-romantico-barocche.
Le sue tele, spesso e volentieri di ampio formato, sono dominate da colori intensi e vibranti di luce e intelaiate senza cornice. Su di esse sono poi applicati pizzi merletti stoffe oggetti e materiali vari - tra applicazioni e foto ritocco - riproducenti volti femminili o altre immagini, in un trionfo ed armonia di colori acrilici e a spray, mescolati a strati e rilievi di stucchi, quasi a formare bassorilievi scultorei.
Dalle 22, Kora passa alla consolle per intrattenere il pubblico con le sue selezioni di musica elettronica, dub, sperimentale, goa!!! A "battagliare" con lei ai dischi sarà il mitico Pasca con il suo rock alternato a selezioni revival anni '80!!!
Kora, giovane artista bolognese dal nome di grandiosa potenza muliebre. Chora in greco è la Materia, madre e matrice di tutte le cose, l’estensione, ciò che può assumere tutte le forme. Per Platone era la causa dell’imperfezione del mondo, ma anche la conditio sine qua non per la manifestazione delle istanze ideali, il loro imprescindibile supporto.
La Materia ha in sé una forte componente di disordine, e si identifica nella polis greca con l’animalità, la maternità, e la sessualità del corpo femminile, il quale viene recluso e nascosto dalle leggi della città degli uomini. La chora platonica, luogo indifferenziato della coincidenza degli opposti, secondo la filosofia francese Luce Irigaray rappresenta la via di fuga per le coppie oppositive che ingabbiano il pensiero logico occidentale, strutturato in diadi gerarchiche come Ego/Alter, Cultura/Natura, Ragione/Passione, Attivo/Passivo, Pubblico/Privato, Madre/Puttana, Kosmos/Chaos, Mente/Corpo, Maschio/Femmina.
La Chora è l’aporia dell’augusto (e angusto) pensiero platonico, il continente nero dell’inconscio femminile di cui parla Freud, è inconcettualizzabile, irrappresentabile, e non si può padroneggiare.
Non per niente Kora utilizza tecniche che devono molto all’informale.
L’informale, per l’esecuzione istintiva, impetuosa, pre-logica, e per le sue connotazioni a-figurali e materiche, si pone nella storia dell’arte come una delle correnti più intrinsecamente femminili.
Kora propone colate laviche di vernice rossa, il colore delle passioni che si contrappongono al gelo dell’intelletto, che lo attraggono e lo invitano all’ibridazione con esse, per esperienze conoscitive ulteriori.
E’ il colore dei rossetti, degli smalti per le unghie delle pin-up, dell’artificio deduttivo.
E’ segnale di pericolo e promessa di caos.
Su questi magma infuocati Kora sospende fili di rose secche e infilzate, collezione di feticci o ex-voto d’amore, oppure metafora di violazione, di precarietà dolorosa, di paura della morte, della decadenza, della solitudine.
Kora crea flutti pastosi con l’oro, il colore della regalità e dell’epifania divina, e vi manda alla deriva un occhiello a forma di cuore.
Il cuore è il nostro centro di vita, i suoi scatti, le palpitazioni, i suoi battiti ritmici ci rivelano le nostre condizioni e i nostri diagrammi emotivi. Dalla Bibbia alla poesia d’amore del Tredicesimo secolo fino alle canzonette radiofoniche degli anni trenta, il cuore è sempre metafora apocrifa degli organi sessuali, in particolar modo di quello femminile.
Immergendolo in un mare dorato Kora ci racconta delle apoteosi del corpo, di accecamento, smarrimento, pulsazioni, ma nello stesso momento stempera questo codice aulico con un tratto tenero, tondeggiante, infantile. Nell’Addio abbiamo un abbozzo di fantasma figurale, privo di volto, perché le perdite affettive ogni volta azzerano la nostra identità, che non è mai fissa e stabile, ma sempre interattiva e determinata dagli altri.